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Il cibo italiano nello spazio

POLITECNICO DI TORINOL’Italia, si sa, vanta una lunga tradizione gastronomica, che ha reso la cucina italiana un sinonimo di qualità, gusto, varietà e salute a livello mondiale. Il nostro mondo, però, da alcuni anni sembra stare un po’ stretto alle eccellenze del gusto nostrane, che hanno quindi scelto di spingersi alla conquista dello spazio. L’Italia ha assunto fin da subito un grande impegno nei progetti spaziali, impegno che ha toccato diversi ambiti: l’esplorazione dello spazio, infatti, non si limita alle competenze di ingegneri aerospaziali, astronauti o altri tecnici del settore, ma coinvolge anche realtà che apparentemente nulla condividono con questo ambito. Ecco allora che l’esperienza di aziende leader e chef stellati si coniuga con l’avanguardia della ricerca scientifica e l’innovazione tecnologica, per portare il cibo italiano nello spazio.

Per toccare con mano il ruolo dell’Italia nella ricerca di soluzioni innovative per garantire agli astronauti l’approvvigionamento di cibi di alta qualità, il Politecnico ha ospitato il 6 luglio scorso il dibattito “Il cibo italiano nello spazio. Sfide ed opportunità”, organizzato da Politecnico, Aesa Torino e UPXE (Unito-Polito for Expo Exto). La conferenza, organizzata dal professor Giancarlo Genta del Dipartimento di Ingegneria Meccanica e Aerospaziale, è stata l’occasione per conoscere in che modo vengono prodotti e consumati gli alimenti che ogni giorno forniscono il nutrimento essenziale agli astronauti che vivono all’interno della Stazione Spaziale Internazionale (ISS); la stazione, in orbita a 400 chilometri sopra le nostre teste, da quando è stata lanciata nel 1998, ha fornito circa 40.000 pasti alle donne e agli uomini che lì hanno vissuto e lavorato. Un numero, questo, che aiuta a far comprendere il peso della tematica affrontata nel corso del dibattito; un dato a cui si aggiungono le sfide poste dall’alimentazione nello spazio: l’assenza di gravità (che altera anche l’olfatto e, quindi, la percezione dei sapori), la necessità di avere cibi salutari e nutrienti e che possano stare per lunghi periodi al di fuori di sistemi di refrigerazione.

Come ha spiegato Giuseppe Reibaldi dell’Accademia Internazionale di Aeronautica, questa sfida è stata vinta dall’Italia grazie al lavoro sinergico di esperti di astronautica e grandi nomi della gastronomia. Ad animare il dibattito (inserito all’interno del IX Congresso Internazionale sul Futuro dell’Esplorazione Spaziale) sono state, infatti, figure provenienti da contesti diversi: oltre all’Ing. Reibaldi, hanno offerto il proprio contributo Delfina Bertolotto dell’Agenzia Spaziale Italiana, David Avino di Argotec (azienda torinese che per l’ESA si occupa dello sviluppo e della fornitura di alimenti per gli astronauti della ISS), Cesare Lobascio di Thales Alenia Space, Mauro Frascisco dell’Accademia Italiana della Cucina e Franco Malerba, il primo astronauta italiano.

Nel corso del dibattito è stata ripercorsa la storia del cibo italiano consumato nello spazio dai nostri astronauti. A partire dal Malerba, infatti, nessuno ha rinunciato a portare un pezzo di Italia sulle “tavole” delle missioni spaziali: Nespoli nel 2007 ha organizzato il primo “Italian Dinner Party”, seguito da Parmitano che nel 2013 ha potuto gustare i piatti dello chef Scabin, per finire con l’importanza data alla buona tavola da AstroSamantha. Grazie allo sviluppo della tecnologia e della ricerca, ora gli astronauti possono gustare caponate, tiramisù, lasagne e perfino un ottimo caffè espresso come a casa.

Progressi, questi, che non si limitano a rendere più piacevole la vita di chi per alcuni mesi si trova all’interno dell’ISS, ma che rivelano anche delle ricadute positive per i “terrestri”. Lo sviluppo di tecnologie per la produzione di cibo sempre più sofisticate, infatti, fa da volano per la crescita di altri settori e di pensare soluzioni innovative per il tema che Expo2015 ha portato all’attenzione di tutti, “Nutrire il pianeta”: da un lato i cibi “spaziali” possono rappresentare un valido sostituto per diverse categorie di persone (anziani, persone che hanno difficoltà a cucinare, avventurosi che affrontano il giro del mondo in barca, ecc.), dall’altro le tecnologie sviluppate in quest’ambito potrebbero essere sfruttate in futuro per la produzione di cibo nel deserto, lo sviluppo di un’alimentazione più sana per le generazioni future e il riutilizzo delle risorse all’interno della “navicella Terra”.


Foto in alto: Samantha Cristoforetti - Facebook