Verso la Entrepreneurial University del XXI secolo: la prolusione del prof. Cantamessa all'Inaugurazione dell'Anno Accademico
Cos’è la Entrepreneurial University e in che modo l’università può formare imprenditori? Ma anche: cosa significa per un Ateneo, essere un’”Università imprenditoriale”?A queste domande ha dato risposta la prolusione “Verso la Entrepreneurial University del XXI secolo”, tenuta dal professor Marco Cantamessa in occasione dell’Inaugurazione dell’A.A. 2014/2015 del Politecnico. “Per la prima volta nella storia del nostro Ateneo”, sottolinea Cantamessa, “la lectio di apertura dell’anno accademico affronta un tema legato alla cosiddetta “terza missione” dell’università. Un’università che, nell’allargare il presidio delle proprie competenze e attività, si scopre sempre più imprenditoriale”.
Il Prof. Cantamessa ha quindi presentato alla platea la sua interpretazione di Entrepreneurial University, fondata su tre prospettive: l’“università che forma imprenditori”, l’“università che crea imprese”, per giungere infine all’“università che imprende”. Per prima cosa, quindi, è stata ricordata la centralità dell’attore umano, cioè dell’imprenditore, dal punto di vista economico, dell’innovazione, e anche etico: “Nelle note parole di Luigi Einaudi, egli è colui che affronta le difficoltà del “fare impresa” mosso non solo dalla sete di guadagno monetario, ma anche dall’ambizione di veder crescere la propria creatura. Questa osservazione è confermata da recenti studi, i quali ci indicano come la decisione di avviarsi a un percorso imprenditoriale, e soprattutto di persistere in esso, non derivi tanto dal ritorno monetario atteso, che è mediamente basso, quanto dall’esistenza di altre determinanti di natura personale”.
In questa prospettiva, se l’università vuol avere un ruolo nel formare questi imprenditori, che cos’è l’imprenditorialità? La si può imparare? E, se sì, la si può insegnare?
“L’imprenditore è uno che osserva, che si muove, e che afferra. È un cacciatore ... un cacciatore di opportunità”, continua Cantamessa, che cita le più recenti teorie sull’imprenditorialità, concludendo: “L’imprenditore riesce a percepire cose che i non-imprenditori non sanno cogliere: le opportunità, e sa poi muoversi creativamente tra uno “spazio delle opportunità” e uno “spazio delle soluzioni”. Quando poi l’imprenditore si muove per “afferrare l’opportunità”, tende a considerarla così significativa da rendere accettabili rischi che altri considererebbero eccessivi. È un approccio cognitivo che mostra alcuni punti di contatto, ma anche qualche divergenza, con quello della “cultura politecnica del progetto” che accomuna e caratterizza la formazione di ingegneri, architetti e designer: muoversi tra uno “spazio dei problemi” e uno “spazio delle soluzioni tecniche”, per poi scegliere un concept e svilupparlo nel dettaglio”.
Per l’università nasce dunque una sfida. Abituati a formare una “classe dirigente” composta da professionisti e amministratori, iniziare invece a formare una classe dirigente nuova, capace di “pensare come imprenditori": “L’università, quindi, oltre a formare imprenditori, crea imprese. Si tratta di un tema importante, perché le nuove imprese sono quelle che creano posti di lavoro “netti” e che, con la loro crescita, sostituiscono le imprese spiazzate dal cambiamento tecnologico. L’università può facilitare la nascita di “spinoff della ricerca”, campo in cui il Politecnico è stato pioniere. Negli anni, è stato l’Ateneo italiano che ha generato il maggior numero di spinoff. Nel 1999 è stato fondato qui il primo incubatore universitario italiano, che ancora oggi ha una posizione di leadership, riconosciuta dal ranking internazionale UBI Index, che lo piazza al primo posto in Italia, al 5° in Europa e al 15° nel mondo. Ogni anno, I3P riceve 300 domande di ammissione, sulla base di queste sviluppa insieme agli aspiranti imprenditori circa 80 progetti, e lancia 15 nuove imprese, stimolando investimenti privati in capitale di rischio a livello seed per 2.5 milioni di Euro. Nel loro insieme, le imprese di I3P hanno creato più di 1200 posti di lavoro diretti, ciascuno dei quali è costato al contribuente meno di 6000 € una tantum, sfruttando per lo più risorse provenienti dal Fondo Sociale Europeo”.
“L’Università che imprende non è in antagonismo con due valori fondamentali : quello dell’”università pubblica” e quello della “sacralità del sapere”. Ha radici antiche, nate con la nascita stessa dell’Accademia. Più recentemente, l’atteggiamento imprenditoriale nell’università emerge negli Stati Uniti alla fine del XIX secolo quando i ricercatori diventano sempre di più “cacciatori di fondi” presso imprese e presso fondazioni private. La Entrepreneurial University dunque esiste già: Stanford e MIT sono università private, ma il modello si è diffuso in ogni Paese e presso Atenei sia privati che pubblici. L’università è però realmente imprenditrice se non si limita a operare in base a priorità decise - e su risorse allocate - da altri, ma se sa percepire e proporre l’agenda delle opportunità. Viviamo oggi in un mondo in trasformazione, caratterizzato da straordinarie societal challenges. Se riteniamo di avere soluzioni da proporre per risolvere i problemi e i bisogni della società e dei settori industriali a noi contigui, possiamo contribuire a quest’opera vedendo in questo progetto una “missione pubblica”, ma anche una formidabile opportunità imprenditoriale”, sottolinea Cantamessa, che conclude con una domanda aperta: c’è il rischio che un’università imprenditoriale possa tradire la propria missione pubblica e mettere in pericolo la libertà della ricerca?
“Questo rischio esiste, e non è per caso che ho voluto parlare di ”università che imprende”, e non di “università che si trasforma in impresa”. In altre parole, ritengo che possa essere pericolosa una Entrepreneurial University nella quale siano imprenditoriali la classe dirigente e la tecnostruttura, se ciò dovesse ridurre docenti e ricercatori a “operatori della ricerca”, impegnati a produrre contratti, timesheet, pubblicazioni, citazioni, brevetti e spinoff, preoccupandosi più della quantità che della qualità e della rilevanza di quanto si produce. Diverso è, se a essere imprenditoriale non è l’università, intesa come istituzione, quanto la collegialità della comunità accademica. È per questo che le tre dimensioni che ho toccato in questa lectio (“formare imprenditori”, “creare imprese” e “imprendere”), sono inscindibili tra loro. Senza imprenditori, non c’è intrapresa. Viviamo in una società e un’economia della conoscenza nella quale, a causa del progresso tecnologico e della globalizzazione, gli standard richiesti a una società prospera e competitiva sono sempre più alti. In questo contesto, una nuova scuola e una nuova università animate da docenti, ricercatori e “imprenditori della conoscenza” sono le miniere e le raffinerie che consentono a un Paese di competere e prosperare. Questo può avvenire se sapremo assumere questo ruolo, accettando la sfida con serietà e coraggio”.
Il testo della prolusione "Verso la Entrepreneurial university del XXI secolo" |
Edilizia Green&Tech: efficienza energetica, valorizzazione estetica e sicurezza
Instanton bundles on Fano 3-folds
Conformally Berwald manifolds, special holonomy, and compact quotients of incomplete reducible manifolds
I condizionamenti dell’ambiente sulla performance sportiva: come si vince un’Olimpiade
Giorgio Parisi e Riccardo Zecchina commemorano Tullio Regge
2° Technology Day del Progetto TARGET
Aircraft wing design via numerical optimization: Are we there yet?
Advances in Quality Control and Quality Assurance in Road Constructions
Un Logo Per Torino - Città Creativa UNESCO per il Design
Parcheggi di interscambio gratuiti per gli studenti universitari abbonati a GTT